Violenza tra i giovani: nasce dal disagio sociale ed economico delle famiglie?

Negli ultimi anni, il fenomeno della violenza giovanile ha catturato l’attenzione di sociologi, educatori, famiglie e istituzioni. Questo problema, lungi dall’essere isolato, sembra legato a una serie di variabili sociali ed economiche che influenzano i giovani. Molti studi e testimonianze evidenziano come il disagio sociale ed economico possa favorire la crescita di comportamenti aggressivi e antisociali nei più giovani, rendendo urgente una riflessione sul ruolo che le politiche governative possono o dovrebbero avere nel contrastare il fenomeno.

Disagio sociale ed economico: un terreno fertile per la violenza giovanile?

La mancanza di sicurezza economica e il disagio sociale sono spesso alla base di comportamenti violenti e autolesionistici. In situazioni di precarietà, dove l’accesso a beni e servizi essenziali è limitato, i giovani possono sperimentare un senso di esclusione e di marginalizzazione. In questo contesto, il rischio di sviluppare comportamenti di rabbia e di ribellione verso l’autorità o verso altri gruppi sociali aumenta notevolmente. Il bisogno di affermazione e di controllo, infatti, può trasformarsi in violenza o adesione a gruppi che offrono supporto e identità, anche se in modo distorto.

La violenza giovanile può essere vista, quindi, come l’espressione di un disagio profondo che va oltre le singole problematiche familiari. La frammentazione delle reti sociali, la mancanza di lavoro stabile per i genitori, e un contesto economico sfavorevole sono elementi che possono minare la stabilità emotiva e sociale dei giovani. Quando non trovano modelli positivi, spazi per esprimere le proprie frustrazioni o possibilità di crescita, è facile che sfoghino la loro insoddisfazione con gesti estremi.

Le politiche governative e l’aiuto alle famiglie: una distribuzione iniqua?

Un aspetto cruciale della questione è il ruolo delle politiche pubbliche e dei sussidi governativi nel sostenere le famiglie in difficoltà. Negli ultimi anni, numerose iniziative sono state messe in campo per sostenere le famiglie, ma con criteri che spesso sembrano privilegiare le fasce già benestanti della popolazione. In molti casi, i sussidi economici sono distribuiti senza considerare le reali esigenze dei nuclei familiari, rendendo più difficile per chi vive in condizioni di precarietà accedere a un sostegno adeguato.

Le politiche che premiano indirettamente le famiglie già avvantaggiate amplificano il divario sociale, lasciando indietro chi avrebbe più bisogno di supporto. Questa “distrazione” istituzionale non fa che aumentare il senso di sfiducia nei confronti delle autorità, alimentando il malcontento dei giovani. Chi cresce in famiglie economicamente vulnerabili percepisce il sistema come ingiusto e imparziale, e questo può generare frustrazione e rabbia, trasformandosi in una spinta verso comportamenti devianti e violenti.

Un ulteriore problema è rappresentato dal favoritismo nelle politiche sociali, spesso orientate verso la protezione di gruppi privilegiati e dei cosiddetti “circoli di amici” connessi con il potere. Questa tendenza allontana ulteriormente le istituzioni dai cittadini che ne avrebbero più bisogno, accentuando una sensazione di distacco e di isolamento.

Quali potrebbero essere le soluzioni?

Per affrontare il fenomeno della violenza giovanile è necessario ripensare in modo radicale le politiche di sostegno alle famiglie, ponendo l’accento su un modello di distribuzione delle risorse più equo.

  1. Incremento dei fondi per il welfare delle famiglie meno abbienti: Un primo passo potrebbe essere un maggiore investimento in politiche di sostegno per le famiglie economicamente svantaggiate. Questo sostegno potrebbe includere incentivi economici, accesso gratuito o agevolato a servizi educativi e sanitari, e borse di studio per i giovani a basso reddito.
  2. Potenziare il sistema educativo e i servizi di sostegno psicologico: Le scuole dovrebbero essere dotate di risorse per fornire un adeguato supporto psicologico e di orientamento per i giovani che manifestano segni di disagio. Attraverso l’educazione, è possibile promuovere modelli positivi e offrire uno spazio sicuro per confrontarsi su questioni emotive e sociali.
  3. Promuovere l’inclusione sociale: Le politiche dovrebbero favorire l’inclusione di giovani e famiglie marginalizzate, incoraggiando la partecipazione a programmi di volontariato, attività ricreative e progetti comunitari. Queste attività contribuiscono a creare un senso di appartenenza e di solidarietà, che può ridurre l’incidenza di comportamenti antisociali.
  4. Una distribuzione delle risorse più equa e trasparente: Per garantire un supporto effettivo a chi ne ha più bisogno, sarebbe opportuno rivedere i criteri di assegnazione dei fondi pubblici, eliminando le discriminazioni legate al reddito o alla posizione sociale.

Conclusione

La violenza giovanile non è semplicemente un problema di ordine pubblico, ma una manifestazione complessa di disagio economico e sociale che richiede una risposta profonda e strutturata. Le politiche governative dovrebbero mirare a sostenere in modo equilibrato tutte le fasce sociali, riconoscendo che le famiglie economicamente e socialmente più fragili sono quelle che necessitano del maggiore sostegno. Solo attraverso un impegno concreto per garantire opportunità e risorse a chi ne ha più bisogno, si potrà ridurre l’incidenza della violenza giovanile e costruire una società più giusta e inclusiva.

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